Primavera senza profumo, paradosso targato Covid

È fatta. Siamo tornati negativi tutti.

Sì, tutti e quattro, perché in casa nostra – ahinoi – il caro vecchio (si fa per dire) virus SARS-CoV-2 ha fatto strike e ci ha visti cadere in formazione completa – mamma, papà, figlia 1 e figlio 2 – come birilli.

Siamo stati fortunati. Molto. Fortunati.

Pur tutti sintomatici, fra mal di testa lancinanti, raffreddore, mal di gola, mal di orecchie, diarrea, dolori alla schiena e alle gambe da dover stare forzatamente sdraiati e anosmia (non abbiamo sofferto tutti di tutto, ma ogni membro della famiglia si è sciroppato un mix diverso fra i vari disturbi), nessuno di noi ha avuto complicazioni respiratorie e a suon di tachipirine e aspirine, fra un controllino e l’altro con il saturimetro ordinato al volo su Amazon,  abbiamo tenuto a bada la Bestia soffrendo un po’ più per l’isolamento assoluto che per la malattia in sé. Molto fastidiosa e infida…

io, per esempio, che sono “guarita”, mi sento completamente spompata: camminavo stamattina verso l’ambulatorio dove mi aspettavano alle 9:50 per il benedetto tampone liberatorio e mi sembrava di avere le ossa molli. Mi pareva di rimbalzare sull’asfalto a ogni piè sospinto e di dover imprimere molta più forza (volontà) del solito a ogni passo per riuscire a muovermi coerentemente verso la meta, senza sbandare o sbanfare

… ma generosa nei nostri confronti, se penso all’immane tragedia e al dolore autentico che continua a diffondere in ogni parte del mondo da quasi un anno e mezzo.

Avere a che fare con la malattia in prima persona, però, pur non avendo imposto conseguenze dolorose alla mia famiglia – almeno così mi auguro, confidando di non rientrare nella sfortunata statistica di coloro che manifestano sintomi di diverso genere qualche mese dopo l’infezione, a mo’ di nefasta eredità del debellato ospite – un po’ mi ha cambiato.

Avere paura ti cambia.

Diventare protagonista di quei numeri citati quotidianamente al telegiornale, che ormai non ascoltavi neanche più per noia, nausea, abitudine, ti cambia.

Preoccuparti per le persone fragili che tu

proprio tu che non esci mai, tu che sei sempre ligia alle restrizioni, tu che segui da un anno scrupolosamente tutte le indicazioni per la reciproca sicurezza

hai incontrato poco prima di manifestare i sintomi ti cambia.

E questo è un fatto. Come è un fatto che questo incubo globale in qualche modo ci ha manipolati e modificati tutti, anche chi per fortuna non si è ammalato, anche chi si è ammalato e non se n’è accorto…

Mi piacerebbe sapere se questa modifica, questo cambiamento generalizzato sia in meglio o in peggio, ma non ne ho idea; percepisco il cambiamento, insomma, ma sospetto (sospetto, non “so”) che ognuno sia mutato in ragione della sua natura e che chi aveva “prima” l’indole del santo o dell’eroe ne abbia dato prova manifesta, mentre chi era un pezzo di merda in fase pre-Covid, probabilmente, negli anni a venire si rivelerà essere un ancor peggiore figlio di peripatetica.

Anyway.

Stamattina, dicevo, in quel di via Pace n° 9, che in questo primo scorcio di 2021, dopo svariati tamponi dei figli e un paio dei miei, mi risulta luogo familiare non privo di un certo fascino (i dettagli liberty in ferro battuto delle tettoie mi hanno rapito), ho goduto non solo della mia viva speranza di poter tornare alla libertà, ma anche della spettacolare fioritura del glicine che corre per diverse decine di metri lungo i muri perimetrali del presidio.

Poche piante mi piacciono più del glicine, rampicante furioso e parassita, che sembra letteralmente esplodere in fondo a marzo di vita, colore – un lilla strepitoso – e soprattutto di inebriante profumo.

Peccato che il primo sintomo della malattia che ho avvertito 15 giorni fa fosse proprio la perdita totale dell’olfatto e che, anche se da due o tre giorni percepisco di nuovo qualcosa se annuso la bottiglia dell’aceto o il polso dove ho appena spruzzato un po’ di eau de toilette, quello che sento non sia ancora “giusto”.

Fuori dall’ambulatorio per i tamponi, alcuni dei grappoli fioriti di quella pianta meravigliosa pendevano proprio all’altezza del mio viso e mi ci sono quasi immersa, ansiosa di ispirare voluttuosamente quella bellezza.

Ma non l’ho sentita, quella gioia. O meglio: ho percepito un odore sconosciuto, incongruo, deludente.

Tornando verso casa dopo essermi sottoposta al test, ho pensato che il glicine e la mia incapacità organica di goderne – almeno per quanto riguarda il suo straordinario aroma – fossero un’ottima metafora di quello che è successo al mondo negli ultimi 12-14 mesi.

Ci è sconosciuto, ora, questo mondo.

È incongruo.

Deludente.

Ma dicono che l’anosmia passerà. Ci sono casi – ne ho avuto testimonianza proprio oggi, durante una conversazione telefonica – in cui ci vogliono mesi prima che l’ex malato si riappropri della sua piena capacità sensoriale.

Qualche volta il sintomo scompare più rapidamente.

In ogni caso, a quanto pare, possiamo confidare tutti di riavere indietro, prima o poi, quel superpotere che nemmeno forse sapevamo di avere, finché la Bestia non ce l’ha tolto. Ma che ci manca tanto.

Ecco, io credo in questa metafora.

Anche le nostre vite, prima o poi, ci verranno restituite, proprio come gli odori – gradevoli e sgradevoli, si intende.

Cerchiamo, nel frattempo, vi prego, di fare tutti la nostra parte affinché a nessun altro venga mai più negato il profumo della primavera.

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