Comete killer: per schivarle bisogna guardare in alto.

Testo tratto dall’articolo «Sono un climatologo. “Don’t look up” cattura la follia con cui faccio i conti tutti i giorni» di Peter Kalmus, pubblicato da The Guardian il 29 dicembre 2021.

Il film “Don’t Look Up” è una satira.

Ma dal punto di vista di uno scienziato del clima, che fa di tutto per attirare l’attenzione delle persone sull’emergenza in atto, per evitare la distruzione del pianeta, è anche un’accurata rappresentazione della spaventosa, mancata risposta della società di fronte al collasso del clima terrestre.

La pellicola racconta la storia della dottoranda in astronomia Kate Dibiasky (Jennifer Lawrence) e del suo professore, il Dottor Randall Mindy (Leonardo DiCaprio), che scoprono una cometa – una cosiddetta “planet killer” – destinata a schiantarsi sulla Terra in poco più di sei mesi.

Nel film gli scienziati restano di fatto gli unici a confrontarsi con il panico e la disperazione derivanti dalla terrificante scoperta, ignorati dai potenti tanto quanto dal resto della società.
Ebbene, quel panico e quella disperazione sono gli stessi che provano molti scienziati del clima.
In una scena, Mindy va addirittura in iperventilazione; in un’altra, Dibiasky, urla in TV: “Non siamo stati chiari? Siamo certi al 100% che moriremo tutti, cazzo!”.
Anch’io oggi mi sento così, in quanto esperto di clima.

[…]

Insomma, “Don’t Look Up” non è un film su come l’umanità reagirebbe all’arrivo di una cometa che con una certezza del 99,7% estinguerà ogni forma di vita sul Pianeta; in realtà, è un film che fotografa (in modo grottesco, certo, ndr) come l’umanità sta effettivamente rispondendo al collasso climatico che sta uccidendo la Terra.

Viviamo in una società in cui, nonostante il pericolo climatico sia straordinariamente chiaro, presente e in costante peggioramento, più della metà dei membri repubblicani del Congresso degli Stati Uniti sostiene che il cambiamento climatico è una bufala, mentre i democratici, dal canto loro, consentono ancora che vengano concessi enormi sussidi all’industria dei combustibili fossili; una società in cui l’attuale presidente USA ha promesso, durante la sua campagna elettorale, che non ci sarebbero stati cambiamenti radicali e in cui la pur democratica speaker della Camera ha liquidato anche un modesto piano climatico come “un sogno verde… o quello che è” (“It will be one of several or maybe many suggestions that we receive. The green dream, or whatever they call it, nobody knows what it is, but they’re for it, right?” dichiarò infatti Nancy Pelosi, in un intervista di un paio di anni fa, ndr); una società in cui la più folta delegazione presente alla COP26 era quella dell’industria dei combustibili fossili e in cui, dopo il summit, la Casa Bianca ha venduto i diritti di perforazione di un enorme tratto del Golfo del Messico; la stessa società in cui i leader mondiali dichiarano da un lato che il clima minaccia la sopravvivenza dell’umanità e dall’altro, allo stesso tempo, espandono la produzione di combustibili fossili; in cui i media danno ancora spazio alla pubblicità di questo tipo di carburanti, mentre le notizie sugli effetti dei cambiamenti climatici sono regolarmente messe in ombra dal risalto dato a quelle sportive.
Una società nella quale, mentre molti imprenditori spingono verso soluzioni tecnologiche altamente rischiose, i miliardari alimentano la fantasia assurda che l’umanità possa “semplicemente” andare su Marte…

Io, dopo 15 anni trascorsi cercando di attirare l’attenzione sull’urgenza di affrontare l’emergenza climatica, ho concluso che le persone in generale, e i leader mondiali in particolare, sottovalutano quanto sarà rapido, grave e permanente il collasso climatico ed ecologico, se l’umanità non si mobilita immediatamente.

Potrebbero restarci solo cinque anni prima che le attuali emissioni determinino un aumento della temperatura superiore a 1,5°C, un livello del riscaldamento che dubito sarebbe compatibile con la civiltà come la conosciamo. E potrebbero restarci solo cinque anni prima che l’impatto di tutto questo sulla foresta pluviale amazzonica e sulla calotta di ghiaccio antartica raggiunga il punto di non ritorno.

La velocità con la quale il sistema Terra si sta corrompendo lascia senza fiato. E gli scienziati del clima si sono trovati ad affrontare un problema di comunicazione con il pubblico ancora più insormontabile di quello che hanno gli astronomi in “Don’t Look Up”, dal momento che la catastrofe climatica si compie nel corso di alcuni decenni – quindi con una rapidità fulminea dal punto di vista dell’età del Pianeta, ma con tempi lunghissimi se paragonati a quelli che caratterizzano le notizie nei media – e non è chiaramente visibile come una cometa nel cielo.

Considerando tutto questo, quindi, liquidare “Don’t Look Up” come un prodotto “banale” potrebbe raccontare molto di più sul critico che sul film.

In realtà, la pellicola è divertente e terrificante insieme, perché inscena la cruda realtà che i climatologi e le persone che hanno già compreso appieno la gravità dell’emergenza climatica si trovano a sperimentare ogni giorno. Spero che questo film, che racconta in chiave comica quanto sia difficile rompere gli schemi prevalenti, aiuti a infrangere quegli stessi schemi nella vita reale.

Spero anche che Hollywood stia imparando a raccontare il cambiamento climatico in modo utile, invece di continuare a proporre storie di soluzioni tecnologiche irrealistiche ideate di fronte a scenari di disastro altrettanto irrealistici; l’umanità ha bisogno di storie che mostrino l’assurdità di essere collettivamente consci di ciò che sta arrivando e al contempo collettivamente incapaci di agire.

E abbiamo anche bisogno di storie che mostrino un’umanità che risponde razionalmente alla crisi.
Non è la mancanza di tecnologia adeguata a impedirci di agire. Abbiamo invece bisogno di affrontare l’industria dei combustibili fossili a testa alta; dobbiamo accettare di consumare meno energia e passare a una modalità di piena emergenza.
Il sollievo e il senso di solidarietà che proveremmo se questo accadesse, sarebbe una svolta decisiva per la nostra specie.

I fatti, i dati, non sono evidentemente in grado di accelerare questa svolta socioculturale; ma altre storie di questo tipo, magari migliori, potrebbero riuscirci.

Peter Kalmus è uno scienziato climatologo della NASA (https://peterkalmus.net/)  autore di Being the Change: Live Well and Spark a Climate Revolution

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