Del perché “aver fede” non può giustificare il non “tener fede” ai propri impegni pubblici e istituzionali

45 anni fa oggi, Tina Anselmi – partigiana, insegnante, sindacalista, deputata – fu la prima donna a essere nominata ministro della Repubblica Italiana. Fervente cattolica – e già solo per questo potenzialmente lontana dal mio sentire – e democristiana fin dall’adolescenza – e per questo ancora più distante dal mio universo di riferimento – aveva tuttavia ben chiara la priorità che ogni rappresentante del popolo dovrebbe avere nel difendere la coscienza e il benessere collettivi più che la propria ideologia. La Anselmi, infatti, condusse la propria attività politica tenendo comunque sempre fede al principio della laicità dello Stato, un concetto che pare oggi molto lontano dalle retrograde esternazioni populiste di qualche leader di partito…

Entrata dunque a far parte del Governo come Ministro del Lavoro, fu tra i firmatari della Legge 903/1977, assolutamente fondamentale per il lavoro femminile, con cui per la prima volta in Italia si legiferava in materia di parità salariale e di trattamento fra uomini e donne in ambito professionale e si estendevano le tutele previste per le madri naturali anche a quelle adottive e affidatarie. Mica bruscolini…

Non solo. L’anno seguente, nel 1978, divenuta Ministro della Salute, pur essendo profondamente credente firmò la Legge 194 per l’interruzione volontaria della gravidanza: una contraddizione? Miei cari, no. Perché a firmare la legge non fu la cittadina Anselmi, ma la Ministra Anselmi, nella piena consapevolezza dei suoi doveri pubblici e del giuramento fatto, quello di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione ed esercitare le proprie funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione.

Tenessero un pochino più in conto i propri giuramenti anche i politici attualmente in circolazione, tante delle polemiche e dei ricatti che ingolfano il nostro Governo, probabilmente, si smonterebbero da sole.

E che dire di quei medici (medici?) ignobili che in alcune – troppe – regioni italiane tentano e in qualche caso riescono a negare alle donne i diritti sanciti dalla 194 oltre quarant’anni fa? Vergogna. E vergogna alle istituzioni che glielo consentono. Quello non è l’esercizio di un diritto. Quello è negare un diritto alle cittadine.

La libertà di quei “medici” – in quanto cittadini, non in quanto “dottori in medicina della Repubblica Italiana” – è un’altra: smettere di fare il ginecologo, se ciò è incompatibile con la loro etica personale. Mica gliel’ha prescritto il dottore… come si suol dire.

Se una cattolica nata nel 1927 quarantatré anni fa aveva trovato giusto ratificare la legge sull’aborto apponendovi la propria firma, forse dovremmo non solo aspettarci ma pretendere che nel 2021 un Ministro della Salute, che mi dicono fra l’altro essere di sinistra, trovasse giusto prendere a calci in culo chi – a spese dello Stato – si permette di calpestarla.

Certo, certo, ora c’è il Covid… bla, bla, sì, sì… lo so…
Diciamo che è una mia Speranza.

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