Intervista a Luca Telese – Stop 18/2009

ATTENZIONE: RIVOLUZIONE IN CORSO

Debuttando in prima serata su LA7 lo scorso 24 aprile, la nuova stagione di “Tetris” ha segnato la nascita di un nuovo genere: il “talent talk”. Luca Telese ci racconta la svolta della sua trasmissione

La formula di base è sempre la stessa: l’abile incastro di politica e tv, realtà e rappresentazione, in un gioco di contaminazione fra generi e linguaggi. Tuttavia, come annunciava il caustico promo che nei giorni precedenti al debutto di venerdì 24 aprile pubblicizzava la nuova edizione di “Tetris” su LA7, quest’anno la trasmissione di Luca Telese si propone in una veste inedita e ancor più stuzzicante: quella di primo “talent talk” della storia della tv italiana. Abbiamo chiesto al suo conduttore di raccontarci com’è nata quest’idea potenzialmente rivoluzionaria.

«Fin dalla sua prima edizione, l’obiettivo di “Tetris” è sempre stato rinnovare la formula più antica della nostra tv, quella del talk show. In Italia, infatti, i talk sono tutti uguali: si ha l’impressione che questo genere televisivo sia considerato sacro e immutabile, come se non si potessero affrontare argomenti seri con più ironia e leggerezza. Quindi, dal momento che in tv la più grande novità degli ultimi tempi è stato il talent show, un nuovo genere che ha introdotto l’idea della prova da superare in tutti i campi, trasformando l’immagine della giuria in una sorta di totem della nostra civiltà, abbiamo pensato di verificare cosa sarebbe successo se fosse stata introdotta una giuria anche in un contesto in cui si parla di cose molto serie».

Chi sono i giudici di “Tetris”?

«C’è sempre un presidente di giuria – che cambia nel corso delle puntate ed è una specie di “guest star” – affiancato da un gruppo di opinionisti giovani ma autorevoli, molto diversi dalle solite “mummie” che si vedono in tv e che si esprimono sempre con mezze frasi, dando solo mezze opinioni. I nostri giudici, infatti, devono saper dire chiaramente se quello o quell’altro ospite ha parlato bene oppure no, se è stato convincente oppure non lo è stato. A maggio, per esempio, uno dei nostri presidenti di giuria sarà la giornalista Barbara Serra, conduttrice della redazione di Londra di Al Jazeera; lei incarna uno standard britannico molto diverso da quello “piacione” della tv italiana: per questo è il prototipo del nostro giudice ideale».

Altre differenze sostanziali fra “Tetris” e gli altri talk?

«I talk show italiani, di solito, hanno una “ragione sociale” dichiarata. “Porta a porta” è un talk show di governo; quello di Santoro è di opposizione; quello di Floris è quasi una via di mezzo, ma sempre molto istituzionale… Il nostro, invece, risponde a un’altra logica, simile a quella dello spettacolo. Del resto, in passato ho fatto per anni l’autore di Chiambretti, sono stato autore di “Cronache marziane”… Per questo, con “Tetris” non seguo una prospettiva politica, ma l’idea che, anche affrontando grandi temi, si debba realizzare, prima di tutto, un grande show”.

La promozione in prime time ha cambiato il tuo modo di affrontare la trasmissione?

«Confesso che in un primo momento ho provato un po’ d’ansia… Dopotutto, avevamo un nostro format ben consolidato, che andava benissimo e aveva fatto ascolti pazzeschi… Ma è anche vero che senza questa promozione forse non avremmo mai pensato alla formula del “talent”: è stata un importante stimolo per mettere a punto un linguaggio diverso ».

In Italia la mediocrità è solo una filosofia di vita condivisa da molti oppure qualcosa di più preoccupante, che ha a che fare con il nostro Dna?

«Non ha nulla a che fare con il nostro Dna: è una dittatura imposta al nostro Paese da una classe dirigente mediocre che ha deliberatamente deciso di cancellare il merito. Credo che nel nostro talk il format del “talent” rappresenti una straordinaria provocazione anche per questo: non è curioso, infatti, che le uniche cose a non essere giudicate in Italia siano le classi dirigenti? Da noi politica, economia e finanza non sono mai messe in discussione ».

Va tutto male?

«No, perché anche se tutti si piangono addosso, sostenendo che oggi in Italia è impossibile fare impresa e proporre nuove idee, nel nostro Paese ci sono anche menti e realtà eccellenti: mi riferisco a quelli che chiamo i “bucaneve”, persone che riescono ad affermare il loro talento anche in momenti di generale difficoltà, proprio come fanno quei fiori che spuntano dalla terra ancora gelata. Con “Tetris” vogliamo far conoscere anche loro».

Hai quasi 40 anni, eppure ti definiscono “giovane” giornalista, “giovane” conduttore… Come spieghi che in Italia sia così raro essersi già affermati alla tua età?

«C’è una “generazione tappo”, quella dei 50/60enni, che ha bloccato tutto facendo saltare il sistema del merito e instaurando una sorta di dittatura anagrafica. Io sono stato fortunato, ma come rappresentante della mia generazione provo molta rabbia per quello che è stato fatto ai miei coetanei. E ti dirò di più: non è un problema legato prettamente all’età. La generazione dei novantenni, infatti, quella dei “grandi vecchi”, dei “mostri sacri”, non ha mai avuto questo atteggiamento: loro volevano costruire una scuola, insegnare qualcosa, mentre quelli che oggi impediscono ai 30/40enni di farsi strada vogliono solo restare dove sono. Dovremmo fare un patto con i novantenni… per sbarazzarci di loro una volta per tutte!».

Il maggior pregio della tv?

«È una macchina infernale, ma ti permette di giocare con i linguaggi e di comunicare con molta più chiarezza. Soprattutto – ed è quello che gli snob non capiscono – può regalarci quelli che io chiamo i “momenti verità”. Ti faccio un esempio: non sempre gli scandali, come quelli legati alle intercettazioni, se letti sui giornali colpiscono veramente la fantasia, perché non ci sono immagini che li possano raccontare. Ma se vengono messi in scena in tv, magari con uno strumento dissacrante come il fumetto – come quando a “Tetris” abbiamo realizzato quei fotoromanzi basati sulle intercettazioni legate a Vallettopoli – improvvisamente tutto ti appare molto meno digeribile e ne comprendi all’istante l’enormità».

Cosa ti fa più arrabbiare?

«L’ipocrisia. Preferisco che uno dica una cosa sbagliata, piuttosto che una cosa falsa. Può sembrare una sciocchezza, ma nel nostro mestiere è fondamentale».

E c’è, invece, qualcosa che ha il potere di riconciliarti sempre con il mondo, che ti rende felice?

«Certo che c’è! La prima cosa che mi viene in mente è quello che mi ha detto il mio bambino di due anni e mezzo questa mattina, poco prima che uscissi di casa: “Papà, togliti la giacca!”. Perché quando mi tolgo la giacca, di solito, è per dedicarmi a lui…».

Un’ultima curiosità: da ragazzino come te la cavavi a Tetris? Intendo dire con il videogioco…

«Ti dico solo questo: quella che ho avuto per Tetris è stata una febbre così bruciante che ho rischiato spesso di presentarmi impreparato a interrogazioni e compiti in classe… Era come una droga!». ★

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